Richiesta di convocazione di un consiglio comunale aperto sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza
Alla pandemia almeno un merito va riconosciuto, quello di aver messo a nudo i drammatici effetti scaturiti dalle dissennate politiche praticate a livello globale negli ultimi decenni. Di queste conseguenze due in particolare sono intrinsecamente legate tra loro: la distruzione dell’ambiente per mano dell’uomo e il crescente divario tra una minuscola élite globale di super-ricchi e una platea sempre maggiore di ceti impoveriti. In modo simile al cambiamento climatico, la pandemia ci è apparsa in un primo momento come una grande livellatrice capace di colpire tutti indiscriminatamente. Poi, con il passare del tempo, come i cambiamenti climatici, anche la pandemia ha dimostrato come una stessa tragedia colpisca in realtà in maniera più pesante sempre le classi più fragili.
La storia non ci pone davanti un bivio ma una strada obbligata, quella che indica una discontinuità netta rispetto all’attuale modello di sviluppo. Per farlo serve però coraggio nelle scelte e una visione profondamente innovativa, affinché una maggiore sostenibilità economica, sociale e ambientale non resti una semplice dichiarazione d’intenti ma un modello da affermare con coraggio. Occorre però partire anche dalla consapevolezza che le tante innovazioni ambientali e tecnologiche che vengono proposte rimangono spesso inaccessibili proprio alle persone che se ne dovrebbero avvantaggiare, misure incapaci di garantire agli ultimi, ai meno abbienti, l’accesso ai vantaggi che alcune innovazioni offrono. Quello che manca è una vera connessione tra transizione ecologica, rivoluzione digitale e giustizia sociale. È questo il vero punto da cui dovrebbe discendere ogni ragionamento conseguente.
Ci sono poi altri potenziali effetti che la pandemia potrebbe generare su alcuni processi in atto. Dalla fine della Seconda guerra mondiale la crescita delle città, in tutto il pianeta, è stata incessante. Se nel 1950 meno di un terzo della popolazione mondiale viveva in città, le previsioni pre-covid stimavano che la popolazione urbana avrebbe raggiunto il 68% del totale entro il 2050, più che raddoppiata nell’arco di un secolo. Il processo di progressiva urbanizzazione della popolazione mondiale era ritenuto irreversibile, almeno fino alla pandemia da Covid-19. Ora l’isolamento urbano e l’allontanamento sociale hanno messo in discussione alcuni dei capisaldi della vita in città, la vicinanza, l’interazione, la convivenza, stimolando di contro il ritorno verso i piccoli centri alla ricerca di luoghi più vivibili, meno affollati e a contatto con la natura. Un’inversione destinata a consolidarsi sotto gli effetti che i cambiamenti climatici produrranno in maniera più accentuata proprio nelle grandi città? È difficile ipotizzare se questi processi provocheranno una crisi del modello sociale metropolitano, più ragionevole è invece scommettere su un cambiamento nelle tendenze demografiche affermatesi finora. Un altro punto centrale, questo, che ci riguarda direttamente rispetto ai fenomeni di spopolamento e depauperamento che un territorio come il nostro subisce ormai da decenni per effetto della duplice dinamica di marginalizzazione che coinvolge le aree interne e meridionali del nostro Paese.
Quello che è certo, invece, è l’opportunità che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza offre rispetto alla ridefinizione dei paradigmi che fino ad oggi abbiamo conosciuto e utilizzato, anche per i Comuni, chiamati a presentare progetti capaci di calare a terra e rendere concreti i principi ispiratori di questo enorme piano di investimenti. Digitalizzazione della PA, attrattività dei borghi, creazione e promozione di itinerari turistici, interventi di rigenerazione urbana, efficientamento del sistema di gestione dei rifiuti urbani, mobilità sostenibile, politiche energetiche, potenziamento delle infrastrutture sociali, tutela delle risorse idriche e boschive, sono soli alcuni degli ambiti che vedono direttamente coinvolti gli enti locali. Investimenti e politiche a cui si aggiungono, nel nostro caso, le ulteriori possibilità derivanti dal fondo complementare al PNRR riservato all’area del sisma del centro Italia e dai “fondi Restart” collegati a quelli della ricostruzione attraverso il cosiddetto “meccanismo del 4%”.
Tanti, tantissimi fondi a disposizione che sarebbe un errore imperdonabile disperdere in mille rivoli o peggio ancora non riuscire a spendere per incapacità progettuale, ma che vanno invece messi a sistema nell’ambito di una strategia condivisa e matura di cui il consiglio comunale della città capoluogo di regione deve farsi carico assumendo la funzione di regia e coordinamento.